martedì 23 maggio 2017

Hanno ucciso l'uomo ragno

«io non ne ho. L’accusa utilizza ogni dichiarazione per avvalorare la sua tesi, compresi i genitori. Non vorrei essere frainteso, ma parto dal presupposto che in questo processo abbiamo tutti contro: sono convinto che entro fine anno ci sarà la sentenza e, realisticamente, temo in una condanna». L’avvocato, tuttavia, non si dà per vinto e una strategia per difendere la 21 enne di Arzergrande ce l’ha: «Meriem è accusata di essersi arruolata. Cosa significa? l’arruolamento è un atto tecnico, che va dimostrato. Mostrare simpatie, perorare sui social la causa dei terroristi, andare in Siria: basta questo per dire che c’è stato l’arruolamento della ragazza? Se poi, come emerge dalle telefonate che ha fatto ai genitori, Meriem una volta giunta in Siria, vistasi sotto le bombe e in mezzo ai combattenti, si è pentita della sua scelta tanto da dire di voler tornare a casa, possiamo sostenere che sia stata arruolata? Se così è vuol dire che stiamo processando una sua volontà, saremmo di fronte a un reato d’opinione non contemplato nel nostro ordinamento».
mattinopadova

Prove e testimonianze possono essere usate a seconda delle esigenze.
Mi pare che l'atteggiamento dimesso sia molto simile a quello dell'avvocato Pesce che consigliava ai Moutharrik di illustrare il contesto.

Ovvio che Meriem sia colpevole.
Il decreto è stato disegnato e cucito su profili come il suo.
In più investigatori e magistrati si sono spesi molto su questa inchiesta data la mediaticità e il ritorno che se ne poteva ottenere.
Presa coscienza del fatto che non era più ragionevole che gli aspiranti jihadisti venissero lasciati andare in Siria con tanta facilità, visto che sia il fenomeno che lo scenario stavano cambiando in maniera veloce ed insidiosa, si è deciso di intervenire con una legge che addirittura mette sotto processo i pensieri.
Meriem è partita per la Siria di sua spontanea volontà ma si tratta di una volontà corrotta.
Come tanti giovani che si fanno abbindolare su Internet, lei è caduta nella trappola di Daesh. Tra Meriem e una ragazzina che si diverte a fare la bulla con le compagne di scuola o che si taglia per poi mascherare le ferite con i tatuaggi, oppure diventa bulimica da un giorno all'altro e si ritrova in rete con altri con il suo stesso disagio, non c'è molta differenza. La differenza sta nelle motivazioni.
Meriem appartiene a quella schiera di ragazzi che non riesce a colmare attraverso la famiglia e il Paese d'origine il vuoto identitario che la attanaglia e neppure tramite il suo piccolo mondo italiano. E' su quel vuoto che Daesh interviene.
Condannarla come se fosse la peggiore dei criminali è ingiusto.
Così come è ingiusto togliere tre figli ad un padre di famiglia che se ne stava su Internet a ripetere concetti senza senso e senza sapere cosa è lecito fare e pensare in questo Paese.
Che Meriem torni o che sia ancora viva, poco conta.
Allo stesso modo in cui suo padre adesso si deve occupare degli altri figli, lo stato italiano deve trovare in maniera seria una soluzione per tutti quelli come Meriem e Mohammed Alfredo. Non si manda avanti un Paese con leggi da stato di polizia.
Ormai la tematica del terrorismo è stata sfruttata in tutti i modi dalle categorie che ne potevano beneficiare. E' arrivato il momento di risolvere il problema.

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